martedì 20 novembre 2012

Perché Israele attacca di nuovo la Striscia di Gaza?














Scritto da Gaetano  Colonna Domenica
 18 Novembre 2012 22:17

 Guerra e verità di

Gaetano Colonna –

 Clarissa.



 Per chi si occupa di Medio Oriente, l'impressione  è che la nuova offensiva  israeliana contro Gaza non abbia come  scopo reale quello che le forze armate  ed il governo israeliano stanno dichiarando con enfasi e che i media occidentali  accettano con grande naturalezza.  Israele è infatti oggi assai meglio protetto  contro i missili di quanto lo sia mai stato  in precedenza: l'installazione del sistema anti-missile Iron Dome ha fornito allo Stato ebraico un ulteriore potenziamento  dei propri sistemi di difesa passiva.
 Anche per questo, il rischio effettivo costituito dal lancio dei razzi dalla Striscia di Gaza  non si è mai tradotto in un pericolo strategico per Israele, com'è dimostrato dal numero  delle vittime: 21 israeliani uccisi in totale negli ultimi undici anni, rispetto agli oltre 2.300Palestinesi uccisi nello stesso periodo.
 D'altra parte Israele, dalla fine dell'operazionePiombo Fuso del dicembre  di quattro anni fa, ha sempre esercitato con estrema durezza il suo controllo militare nell'area, intervenendo costantemente con sanguinosi  attacchi,più o meno mirati, contro gli uomini di Hamas e delle altre fazioni,  come avvenuto il 22 e 23 ottobre scorsi (7 vittime fra i palestinesi), il 10 settembre scorso (4 palestinesi uccisi) e il 5 agosto scorso 
 (1 palestinese ucciso).

Hamed Jabari stava trattando?  Ma c'è qualcosa che non convince anche nell'episodio che ha dato inizio all'offensiva, l'uccisione dell'uomo forte di Hamas a Gaza, quell'Hamed Jabari che i media di tutto il mondo si sono affrettati a presentare, sulla  scorta di quanto dichiaravano i portavoce delle forze armate israeliane,  il capo militare di Hamas.

 In realtà, una voce non sospetta, il giornale israeliano Haaretz, riportava lo  scorso  15 novembre le dichiarazioni di Gershon Baskin, un pacifista  israeliano che ha partecipato alle trattative per il rilascio del soldato Gilad Shalit: secondo Baskin,Jabari era al centro di contatti con Israele,  mediati dall'Egitto, tanto che avrebbe ricevuto, poche ore prima di essere ucciso, la bozza di un accordo di treguapermanente, «che  comprendeva i meccanismi per mantenere il cessate-il-fuoco anche  nel caso di una recrudescenza di ostilità fra Israele e le diverse fazioni  palestinesi nella Striscia di Gaza».

 Addirittura, secondo la dettagliata  ricostruzione che Baskin  ha fatto ad Haaretz della trattativa  in corso, Jabari sarebbe stato pronto a questo  accordo sulla base della considerazione  della crescente inutilità del lancio di razzi contro Israele.

[La ricostruzione di Baskin è ripresa anche sul  New York  Times. NDR Megachip]. 

 Che potesse esserci in corso una qualche forma di trattativa,  d'altra parte,  lo si potrebbe anche dedurre dalla visita, lo  scorso 23 ottobre, dell'emiro  del Qatar Hamad bin Khalifa, il primo capo di Stato di un paese arabo a venire a visitare la Striscia di Gaza ed il governo di Hamas, con  l'ovvio consenso dello Stato ebraico, dato che,  non possiamo dimenticarlo,  la Striscia di Gaza si trova dal punto di vista  internazionale tuttora sotto  occupazione israeliana,  nonostante il ritiro delle truppe occupanti avvenuto nel 2005:    ricorda infatti Gilles  Paris su Le Monde che.....
Israele «continua a controllare la stragrande  maggioranza delle  frontiere terrestri, la totalità  della linea costiera (con uno spazio minimo  lasciatoalla pesca autorizzata) e la totalità  dello spazio  aereo» della Striscia.
   Il fatto che Israele abbia permesso questo tutto sommato storico avvenimento,d'altra parte, fa pensare che l'emiro, sicuramente non sospetto di simpatie per  l'Iran, avesse per obiettivo anche quello di accrescere il peso politico delle  forze arabe anti-sciite a Gaza, in coerenza con quanto sta avvenendo in tutta  l'area intorno ad Israele, Egitto e Libano in primo luogo.
 Ma il clima generale mostrava altri sintomi interessanti, tra i quali giganteggia, per quanto trascuratissima dai media, la dichiarazione del 2 novembre scorso  di Abu Mazen, come si sa presidente dell'Autorità palestinese, che conteneva  una ancor più storica apertura sulla questione del "diritto al ritorno" dei palestinesi, l'affermazione che sarebbe tornato nella sua città natale, Safed, da turista: un'apertura davvero ampia nel momento in cui, lo stesso  giorno, Israele apriva invece le gare d'appalto per la costruzione di altri 1.200 alloggi negli insediamenti dei coloni israeliani a Gerusalemme est.  Israele deve impedire la pace in Medio Oriente.
Difficile credere quindi che la  preoccupazione israeliana sia rivolta alla  minaccia dei
razzi di Hamas. Come sempre, a nostro avviso, come già avvenuto nel dicembre 2008, lo scopo dello Stato ebraico è quello di evitare che si arrivi ad una definizione pacifica dei contenziosi che si vanno accumulando come non mai negli ultimi venti anni in Medio Oriente, per salvaguardare esclusivamente gli interessi strategici dello Stato ebraico, che oggi sono soprattutto due: evitare il completamento del  processo di pace di Oslo, che Israele considera superato dai fatti, soprattutto  in presenza di un fronte politico palestinese dilaniato dalla lotta fra Hamas e  Olp; chiudere i conti con la questione iraniana.
 Non a caso, quindi, Israele colpisce in Palestina subito dopo la rielezione di Obama, costringendo il presidente americano ad un immediato appoggio alla propria politica di "auto-difesa" che si traduce nella ripresa di violazioni gravissime del diritto internazionale,  dati gli effetti di questa nuova operazione di guerra sulla popolazione civile della Striscia di Gaza, già ridotta in condizioni inimmaginabili dal conflitto del 2008.
 Così facendo, si spazza via non solo qualsiasi possibilità di mediazione con Hamas,  ma anche di concedere un sia pur minimo spazio diplomatico all'Egitto di Muhammad  Morsi o ai Paesi arabi reazionari del Golfo.
La prospettiva dei due Stati, l'interruzione della politica degli insediamenti nella  Cisgiordania, la questione di Gerusalemme e quella, già ricordata, del "diritto  al ritorno" vengono una volta ancora travolte da una nuova operazione israeliana.

 Ma la questione dell'Iran, rimane quella centrale.

  L'Iran è in situazione estremamente difficile, per la perdita dell'ultimo alleato possibile, la Siria  di Assad, alla cui guerra civile  si collega anzi   il rischio di un coinvolgimento in una "libanizzazione" che si estenderebbe dalla costa mediterranea al  confine della Persia,  con uno stillicidio di  forze che non potrebbe recare alcun beneficio al regime degli ayatollah. L'Iran è in crisi interna, come dimostra il recente durissimo scambio di  lettere fra il presidente Mahmoud Ahmadinejad ed il capo del potere giudiziario Sadegh Larijani, una disputa in cui Ahmadinejad ha finito per attaccare apertamente la stessa guida suprema, Ali Khamenei (che  ha preso le parti di Larijani), rilevando,  non a torto, che mentre Ahmadinejad è stato "eletto dal popolo", Khamenei no -un attacco che evidenzia la diversa concezione politica di fondo delle due massime  autorità iraniane.

 L'Iran è poi in crisi dal punto di vista economico, poiché la sua moneta, il rial, ha perso  in un anno il 75% del suo valore, come hanno evidenziato  le preoccupate dichiarazioni  di molti esponenti religiosi ed economici  iraniani ai primi di ottobre che hanno accusato  l'Occidente di condurre  una vera e propria guerra economica contro il Paese. Kissinger, Obama e Pillar of Defense Sono le ragioni che possono spiegare il tentativo iraniano di aprire una trattativa diretta con gli Usa, di cui la stampa statunitense ha  dato notizie fin dallo scorso 20 ottobre.
Una prospettiva di cui si è da ultimo occupato Henry Kissinger sul Washington  Post del 16 novembre, in un articolo diretto al neo-eletto presidente Obama  nel quale definiva quella iraniana la "questione più urgente che il presidente  deve affrontare".  Kissinger conclude in maniera molto chiara: «Perché negoziare con un paese che ha  dimostrato una tale ostilità ed evasività?
Proprio perché la situazione è così tesa. La diplomazia può ottenere come risultato  un accordo accettabile. Oppure il suo fallimento mobiliterà il popolo americano ed  il mondo, rendendo chiare o le cause di una escalation della crisi fino al livello di una pressione militare, oppure quelle di una sostanziale acquiescenza al programma nucleare iraniano. Qualunque sia il risultato, esso esigerà la volontà di guardare fino in fondo alle sue
 implicazioni finali. Non ci possiamo permettere un altro disastro strategico». implicazioni finali. Non ci possiamo permettere un altro disastro strategico».
 Precisamente nelle parole di Kissinger risiede a nostro avviso la motivazione della  nuova iniziativa militare di Israele: chiudere il varco a qualsiasi trattativa per una sistemazione stabile del Medio Oriente, mantenere alta la tensione sul problema  iraniano e, forse,  creare le pre-condizioni per quella «escalation della crisi fino  al livello di una pressione militare» di cui parla l'ex-segretario di stato americano.


 Basta poco, in un nuovo clima di guerra come quello che Israele ha aperto in Palestina, perché si aprano possibilità di chiudere anche la partita iraniana: potrebbe essere il nuovo rapporto dell'AIEA, sul quale filtrano indiscrezioni che avvalorano le analisi israeliane di poche settimane perché l'Iran arrivi alla capacità di produrre  materiale fissile di uso militare; basta che un nuovo drone, come avvenuto qualche  settimana fa, sorvoli i cieli israeliani; basta un'intensificazione della tensione alconfine con il Libano, o con la Siria.


 Una cosa per noi è certa: non sono i razzi di Hamas, l'obiettivo di questa campagna.  Per questo, bisognerà prenderla molto sul serio, più di quanto non stiano facendo i media occidentali.  Fonte: http://www.clarissa.it/editoriale_n1855/Perche-Israele-attacca-di-nuovo-la-Striscia-di-Gaza.

lunedì 12 novembre 2012

Escalation israeliana sulla Striscia di Gaza, 8-11 novembre 2012

"> ......sulla Striscia di Gaza,

 8-11 novembre 2012


Mi chiamo Laura Picchetti , sono nata in Italia dove 
attualmente vivo.
E' un caso (destino) che non sia nati a Gaza e che
non mii trovi ora a Gaza.


E' un caso che nè NOI nè e le nostre famiglie non 

siamo stati STERMINATI dagli attacchi israeliani.

Non è un caso che ci troviamo qui a parlare di Gaza.
Non parliamo di Gaza, spinti dal nostro orientamento 

politico.

Non parliamo di Gaza, perchè Vik è stato ucciso a 

Gaza,  sua patria d'adozione.
Parliamo di Gaza, perchè riteniamo prioritario 
dar voce  alle ingiustizie, soprattutto quelle ignorate
 dall'indifferenza globale."

[Azione lanciata da Alessandra Arrigoni, sorella 

di Vik:  modifica con il tuo nome e pubblicala]



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Ala’uddin non aveva ancora dieci anni) A colui che scava nella ferita di milioni la sua strada A colui che sul carro armato schiaccia le rose del giardino A colui che di notte sfonda le finestre delle case A colui che incendia l’orto, l’ospedale e il museo e poi canta sull’incendio. A colui che scrive con il suo passo il lamento delle madri orfane dei figli, vigne spezzate. A colui che condanna a morte la rondine della gioia A colui che dall’aereo spazza via i sogni della giovinezza 

A colui che frantuma l’arcobaleno, stanotte i bambini dalle radici tronche, stanotte i bambini di Rafah proclamano: noi non abbiamo tessuto coperte da treccia di capelli noi non abbiamo sputato sul viso della vittima (dopo averle estratto i denti d’oro)

 Perché ci strappi la dolcezza e ci dai bombe?

E perché rendi orfani i figli degli arabi? Mille volte grazie. Il dolore con noi ha raggiunto l’età virile e dobbiamo combattere. Il sole sul pugnale di un conquistatore era nudo corpo profanato e prodigava silenzio sul rancore delle preghiere, intorno facce stravolte. 

Urla il soldato della leggenda: “Non parlerete? Bene! Coprifuoco tra un’ora” E dalla voce di Ala’uddin esplode la nascita dei guastatori bambini: io ho buttato una pietra sulla jeep io ho distribuito volantini io ho dato il segnale io ho ricamato lo stemma portando la sedia da un quartiere…a una casa…a un muro io ho radunato i bambini e abbiamo giurato sulla migrazione dei profughi di combattere finché brillerà nella nostra strada il pugnale di un conquistatore.





_Samih al-Qasim, poeta palestinese_
Pubblicato da Rosa Schiano a 12:23 Una nuova offensiva militare israeliana è iniziata giovedì pomeriggio. Questa volta la maggior parte degli attacchi sono avvenuti da terra. L'esercito israeliano ha bombardato con colpi di artiglieria molti punti della Striscia di Gaza, mentre da sabato vi sono stati anche attacchi aerei. 

 Sette persone sono state uccise, tra cui 3 bambini, ed almeno 50 i feriti, tra cui donne ed almeno 10 ragazzi e bambini. Tra i feriti, 7 sono stati dichiarati clinicamente morti allo Shifa hospital. Ho fatto visita oggi al reparto di terapia intensiva, vi sono due bambini tra i 10 e 14 anni, ed un altro sui 18 che stanno lottando per sopravvivere. 

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 Cinque persone sono state uccise sabato,tra cui 3 ragazzi. Quattro persone sono morte durante un attacco da terra in Shijaia ad est di Gaza city mentre giocavano a pallone ed almeno 38 sono rimaste ferite.

 Inoltre, 2 membri della resistenza sono stati uccisi. Sabato, 10 novembre 2012, l'esercito di Occupazione Israeliano ha sparato colpi di artiglieria colpendo alcuni bambini palestinesi che giocavano a pallone in Shijaia, quartiere est di Gaza city. 

Due ragazzi sono stati uccisi: Mohammed Ussama Hassan Harara, 16 anni, e Ahmed Mustafa Khaled Harara, 17 anni. In quel momento nella stessa area si stava anche tenendo una "tenda del lutto" presso la famiglia Harara.

 La famiglia stava celebrando il lutto per un parente deceduto. Molte persone sono rimaste ferite quanto l'esercito israeliano ha sparato altri colpi di artiglieria. 

Due persone sono rimaste uccise: Ahmed Kamel Al- Dirdissawi, 18 anni e Matar ‘Emad ‘Abdul Rahman Abu al-‘Ata, 19 anni.


 Inoltre, almeno 38 persone sono rimaste ferite, tra cui 8 bambini. Ecco le immagini dallo Shifa hospital in un video che ho girato in ospedale questa mattina. il corpo di uno dei bambini in Terapia Intensiva. Questo bambino ha circa 10 anni. 

 Lo Shifa hospital ieri ha ricevuto in totale circa 40 feriti, di cui 6 ora sono in terapia intensiva, e 5 martiri. Il corpo di uno dei martiri è arrivato in pezzi in ospedale. Il dottor Ayman Sahabany ha spiegato che questi bambini sono stati colpiti da frammenti dei colpi di artiglieria al petto, al torace, al collo, alla testa.

 Alcuni hanno subito emorragia, ematoma anche alla testa, ferite alle arterie. Un altro dottore mi ha detto che non sanno se ce la faranno a sopravvivere. Mentre il dottore ed una infermiera mi parlavano, davanti al corpo del più piccolo dei bambini, non potevo fare a meno di guardarlo, pregando dentro di me perché ce la facesse. Impotenza. Avrei voluto avere il potere di poterlo salvare, ma posso solo sperare. 

L'impotenza davanti a tanto dolore soffoca. Un'impotenza che mi fa sentire esplodere dentro, ma non fuori. Le lacrime, quelle, arrivano tutte ed improvvisamente, come un fiume inarrestabile che porta con sé tutto il dolore fino allo sfinimento. Successivamente sono andata all'ospedale Kamal Odwan in Beit Lahia, a nord della Striscia di Gaza. 

I dottori mi hanno detto che ieri sera tra le undici e mezzanotte hanno ricevuto tre donne ferite in un attacco israeliano, una di 49 anni, le altre di 42 e 40 anni. La scorsa notte infatti, verso mezzanotte, un aereo israeliano ha colpito con due missili una fabbrica di metallo in Jabalia, a nord della Striscia di Gaza, distruggendola e l'abitazione della famiglia Najjar è stata danneggiata. Nihad Fahmi al-Najjar, e le altre due donne sono rimaste ferite da frammenti di vetro sul corpo. Sono stati rilasciate perché le ferite sono superficiali. Alle 6.00 del mattino di ieri inoltre l'ospedale ha ricevuto il corpo di un martire, in pezzi. Il suo nome è Mohammed Obaid, 20 anni. Successivamente sono andata all'European hospital in Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza. Qui quattro bambini sono stati ricoverati e poi rilasciati con ferite lievi. Ho incontrato invece una donna ricoverata, Helene Najjar, 29 anni. E' stata ferita da frammento di proiettile al fianco e forse oggi sarebbe stata operata.

 Ha raccontato che si trovava all'esterno l'abitazione della sua famiglia ad est di Khuza'a, a circa 500 mt dal confine, al momento dell'attacco. Con lei in ospedale c'era la madre, Samira Najjar, che ha raccontato che la casa è stata danneggiata ed i vetri crollati. Samira ha raccontato anche che prima avevano una casa vicino il confine, che è stata distrutta dai soldati israeliani durante Piombo Fuso. E suo marito, il padre di Helene, è stato ucciso durante Piombo Fuso. Helene ha due bambine ed un bambino. Tala, il piccolo, aveva lo sguardo triste. Aveva pianto molto per quello che è successo alla madre. I bambini crescono in fretta a Gaza. 

 Tala Najjar, figlio piccolo di Helen Najjar, oggi in ospedale accanto alla madre Inoltre, nella stessa giornata di sabato e ieri mattina, aerei militari israeliani hanno colpito in due attacchi ed ucciso membri della resistenza palestinese, Mohammed Obaid, 20 anni (di cui ho detto prima e il cui corpo è arrivato in pezzi all' ospedale Kamal Odwan) e Mohammed Said Shkoukani, 18 anni. Giovedì sera, 8 novembre 2012, un altro bambino è stato ucciso dall'esercito israeliano durante una incursione nel villaggio di Abassan, ad est di Khan Younis, a sud della Striscia di Gaza. Verso le 16:30 di giovedì, l'Esercito di Occupazione israeliano stava sparando dal confine indiscriminatamente contro le terre e le case dei civili palestinesi. Colpi di carro armato hanno raggiunto terreni e case. Un proiettile ha colpito il piccolo Ahmed Younis Khader Abu Daqqa, 13 anni, ferendolo gravemente all'addome. Ahmed stava giocando con i suoi amici a pallone vicino la sua abitazione quando è stato ferito. 

 Sono andata a trovare la sua famiglia durante la "tenda del lutto". Sua zia ha raccontato che improvvisamente Ahmed è entrato in casa gridando alla madre che aveva dolore... si sono resi conto del proiettile ed è stato portato all' European hospital in Khan Younis, dove è morto poco dopo. Oggi tornerò a visitare la sua famiglia per poter parlare con maggior tranquillità e portar loro nuovamente la mia vicinanza e la solidarietà di tanti italiani ed internazionali. 

Pubblico qui una foto di Ahmed che ho trovato su internet mentre giocava a pallone, prima di essere ucciso Ahmed Younis Khader Abu Daqqa, 13 anni, ucciso da un proiettile dell'Esercito di Occupazione Israeliano Dopo aver visitato la famiglia del piccolo Ahmed, abbiamo visto la strada in cui è stato colpito dal proiettile.

 Abbiamo incontrato lì un contadino, Iyad Qudai, la cui casa, al mattino dello stesso giorno, era stata colpita da una bomba di carro armato. Siamo così andati a visitare la sua abitazione. Sul terreno attorno all'abitazione c'erano colpi di carro armato.

 Questa è l'abitazione del contadino Iyad Qudai, centrata da una bomba di carro armato israeliano caduta sulla camera da letto dei bambini.







domenica 15 aprile 2012


Su ‘direttiva dello Stato di Israele’, Alitalia questa mattina ha negato l’imbarco su un volo diretto a Tel Aviv a sette attivisti italiani del gruppo internazionale ‘Welcome to Palestine’, noto anche come Flytilla, che nel pomeriggio doveva atterrare, in partenza da diverse citta’ dell’Europa e della Turchia, allo scalo internazionale di Tel Aviv.
NIENTE IMBARCO- I nomi della delegazione italiana – tra cui c’e’ anche quello del vignettista Vauro Senesi – sono stati inseriti in una lista di persone a cui Alitalia ha negato l’imbarco. gli attivisti e’ stato quindi vietato il check in ed e’ stata consegnata una notifica in cui si legge che il divieto di volare a Tel Aviv e’ dovuto ad una ‘direttiva dell’Autorita’ per l’immigrazione e la frontiera dello Stato di Israele secondo la legge del 1952 che disciplina l’ingresso sul territorio di Israele’.
1500 ATTIVISTI – Secondo quanto annunciato nei giorni scorsi dal gruppo ‘Welcome to Palestine’, questo pomeriggio allo scalo di Tel Aviv era atteso l’arrivo di circa 1.500 attivisti europei, australiani e nordamericani che dall’aeroporto si sarebbero dovuti dirigere a Betlemme per alcuni progetti educativi a favore dei palestinesi. Ma, gia’ nei giorni scorsi, era giunta notizia della richiesta formulata da Israele a diverse compagnie aeree europee di vietare l’imbarco agli attivisti identificati.


lunedì 9 aprile 2012

Poesia di Ibrahim Nasrallah




Saison des Glaces

Poesia di Ibrahim Nasrallah



A Vittorio Arrigoni

Hanno ucciso tutti
Hanno ucciso tutti
hanno ucciso tutti i minareti
e le dolci campane
uccise le pianure e la spiaggia snella
ucciso l’amore e i destrieri tutti, hanno ucciso il nitrito.
Per te sia buono il mattino.
Non ti hanno conosciuto
non ti hanno conosciuto fiume straripante di gigli
e bellezza di un tralcio sulla porta del giorno
e delicato stillare di corda
e canto di fiumi, di fiori e di amore bello.
Per te sia buono il mattino.
Non hanno conosciuto un paese che vola su ala di farfalla
e il richiamo di una coppia di uccelli all’alba lontana
e una bambina triste
per un sogno semplice e buono
che un caccia ha scaraventato nella terra dell’impossibile.
Per te sia buono il mattino.
No, loro non hanno amato la terra che tu hai amato
intontiti da alberi e ruscelli sopra gli alberi
non hanno visto i fiori sopravvissuti al bombardamento
che gioiosi traboccano e svettano come palme.
Non hanno conosciuto Gerusalemme … la Galilea
nei loro cuori non c’è appuntamento con un’onda e una poesia
con i soli di dio nell’uva di Hebron,
non sono innamorati degli alberi con cui tu hai parlato
non hanno conosciuto la luna che tu hai abbracciato
non hanno custodito la speranza che tu hai accarezzato
la loro notte non si espone al sole
alla nobile gioia.
Che cosa diremo a questo sole che attraversa i nostri nomi?
Che cosa diremo al nostro mare?
Che cosa diremo a noi stessi? Ai nostri piccoli?
Alla nostra lunga dura notte?
Dormi! Tutta questa morte basta
a farli morire tutti di vergogna e di sconcezza.
Dormi bel bambino.

giovedì 5 aprile 2012

IL NUCLEARE....... ED ISRAELE


Günter Grass: Quel che dev'essere detto (su Iran e Israele)
“Quello che dev’essere detto”, Was gesagt werden muss, questo il titolo della poesia del premio Nobel per la Letteratura Günter Grass che parla del "conflitto" tra Iran ed Israele pubblicata oggi dalla rivista ‘Sueddeutsche Zeitung’. Una poesia che sta scatenando polemiche e discussioni per via dei toni con cui Grass attacca lo stato ebraico e la politica che sta adottando nei confronti dell’Iran sulla questione nucleare.
Per Grass ciò mette in pericolo la pace nel mondo (già fragile di per se) e per questo lancia un appello contro i rischi che deriverebbero dallo scoppio di una guerra tra Israele e Iran.
La poesia è nata dopo che la scorsa settimana l’esercito tedesco ha consegnato a quello di Tel Aviv due sottomarini nucleari: “Perché taccio, in silenzio troppo a lungo, quello che è evidente e già si prova nei giochi strategici, alla cui fine noi come sopravvissuti siamo in tutti i casi note a piè di pagina che potrebbe cancellare il popolo iraniano, soggiogato da un fanfarone e pilotato per il tripudio organizzato – scrive Grass nella prima parte della poesia per poi continuare così - Perché mi vieto di nominare per nome quell’altro paese, nel quale da anni – pur se mantenuto in segreto – è disponibile un potenziale nucleare crescente ma senza controllo, perché nessuna verifica è possibile? La generale reticenza di questo stato di fatto, a cui il mio silenzio era subordinato, la sento adesso come bugia opprimente e violenza, la cui pena viene mostrata in prospettiva non appena essa viene trascurata; l’accusa di ‘antisemitismo’ è d’uso corrente”.
La poesia prosegue con un’altra domanda: “Perché ho taciuto così a lungo? Perché pensavo che il mio passato, affetto da macchie che non potranno essere mai cancellate, impediva di pretendere questo stato di fatto come tacita verità del paese di Israele, al quale sono e voglio restare unito. Perché lo dico solo adesso, invecchiato e con l’ultimo inchiostro: la potenza atomica di Israele minaccia ancora di più la già fragile pace mondiale? Perché dev’essere detto quello che già domani potrebbe essere troppo tardi; e anche perché – come tedeschi già gravati a sufficienza – potremmo essere fornitori in un crimine, che è prevedibile, per cui la nostra complicità non si può redimere con i soliti discorsi”.
Il testo si conclude con la speranza che sia il potenziale nucleare iraniano che israeliano possano esser soggetti a controllo internazionale, per Grass solo così: “per tutti, israeliani e palestinesi, e più ancora per tutti gli uomini che vivono nemici uno fianco all’altro in quella regione occupata dalla follia ci sarà una via d’uscita, e in fin dei conti anche per noi”.
Ricordiamo difatti che negli ultimi mesi l’Iran è stato più volte sottoposto a sanzioni economiche per via del suo “comportamento” sul nucleare, ovvero per non aver fornito all’Onu un piano ufficiale su quelle che sono le sue attività. Le autorità iraniane hanno sempre affermato che si sta lavorando a portare avanti la tecnologia nucleare per scopi civili ma altri paesi, Israele appunto in primis, affermano che il governo di Ahmadinejad sta lavorando per arrivare a costruire la bomba atomica. La poesia del poeta tedesco lascia quindi riflettere su ciò cercando di far capire che forse anche Israele dovrebbe esser sottoposto a maggiori controlli e che lo scoppio di un conflitto in quella zona del Medioriente sarebbe destabilizzante per l’intero globo, porterebbe forse a scenari da terza guerra mondiale.
Come detto sono state molte le repliche a questa poesia, tra i primi ad esprime indignazione sono stati i membri quella dell'Ambasciata israeliana a Berlino, che per voce di Emmanuel Nahshon, hanno affermato: “fa parte della tradizione europea accusare gli ebrei di uccisioni rituali nell’imminenza della festa del Pessach. In passato erano i bambini cristiani, con gli ebrei accusati di usare il loro sangue per fare il pane azzimo, oggi è il popolo iraniano, che lo Stato ebraico vorrebbe cancellare”.
Anche il presidente della Commissione Esteri del Parlamento tedesco ha attaccato il poeta affermando: “Grass è un grande scrittore, ma ogni volta che parla di politica ha difficoltà e sbaglia sovente, questa volta ha sbagliato di grosso”.
Nessun commento invece dalla Merkel, il suo portavoce si è limitato a ricordare che: “In Germania esiste la libertà di espressione artistica e fortunatamente anche la libertà del governo di non commentare ogni opera d’arte”.
Ci sono anche voci a favore di Grass, come quella del capo del Pen club tedesco, Johann Strasser, che parlando alla radio si è anche unito alla posizione di Grass contraria all’esportazione tedesca di armi al governo di Tel Aviv.
Uno dei maggiori quotidiani tedeschi, il Die Welt ha replicato tramite la penna del giornalista Henryk Broder, il più noto giornalista ebreo tedesco che con toni duri scrive: “Grass ha sempre avuto un problema con gli ebrei ma mai questo nodo è venuto tanto in evidenza come oggi”, Broder ha poi definito Grass come il “prototipo dell'antisemita colto”, e che ha affermato delle “vere e proprie idiozie” trascinato dalla sua tendenza alla megalomania”.

Polemiche a parte la poesia di Grass lascia riflettere sul fragile equilibrio che mina le basi di una pace che fa parte della realtà solo di alcune parti del mondo, da occidentali (solo pochi di noi, i più anziani ricordano la "guerra") viviamo in una bolla di cristallo (fatta di false credenze dettate da tubi catodici, dal “dark side of the web” e ridicole serie tv) che devia la percezione che abbiamo del mondo facendoci spesso scordare che realtà a noi lontane geograficamente (neanche poi così tanto) sono in realtà (dovrebbero essere) a noi vicine dal punto di vista umano e morale. Viviamo in confini che designano l’appartenenza in diverse nazioni ma bisognerebbe ricordare più spesso che la terra è una sola e che non ha confini.

Enrico Ferdinandi

5 aprile 2012

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http://www.facebook.com/note.php?note_id=10150922150424517


sabato 31 marzo 2012





PENSATE CHE QUESTO DOCUMENTARIO A CAUSA DI UNA CANZONE CONTENUTA E' BLOCCATO NEGLI U.S.A.! Certamente il copyright sulla canzone ci sarà, quindi YouTube fa bene a considerare il reclamo e ad attuare le misure richieste, è inevitabile e obbligato a farlo.
Ciò però non esula una considerazione che anche gli scettici nei confronti del documentario dovrebbero prendere in considerazione, in quanto in ciò è racchiusa la dimostrazione, che ciò che il documentario denuncia è la semplice realtà dei fatti.
Questo reclamo è stato fatto per motivi ben diversi dal tutelarsi dagli svantaggi commerciali che derivano dall'ascolto della canzone durante la visione, gratuita, di un documentario, se svantaggi ce ne sono. Questo doc. parla di censura occulta negli Stati Uniti da parte di gruppi filo-israeliani in relazione a fatti inerenti la Palestina, mostrando anche ciò che loro nascondono, guarda caso il documentario viene censurato negli Stati Uniti. E' difficile non pensare che i lunghi tentacoli delle organizzazioni che questo libero documentario denuncia, nessun reclamo di copyright è fatto sulla pubblicazione del video, non abbiano fatto pressione sui legali proprietari del diritto d'autore, per bloccarne la visione proprio negli States.
Pace, Propaganda e Terra Promessa fornisce un sorprendente confronto della copertura mediatica sulla crisi in Medio Oriente degli Stati Uniti e internazionale, l'azzeramento come le distorsioni strutturali nella copertura degli Stati Uniti hanno rafforzato false percezioni del conflitto israelo-palestinese.
Questo documentario fondamentale espone come gli interessi in politica estera delle élites politico-petrolifere Americane e la necessità, tra le altre, di avere una base sicura militare nella regione, funzionano in combinazione con le strategie di pubbliche relazioni di Israele per esercitare una potente influenza su come le notizie sono segnalate dalla regione..
Attraverso le voci di studiosi, critici dei media, attivisti per la pace, figure religiose, e esperti del Medio Oriente, Pace, Propaganda e Terra Promessa analizza con attenzione e spiega come - attraverso l'uso del linguaggio, inquadratura e contesto - l'occupazione israeliana della West Bank e di Gaza rimane nascosta dai media, e la colonizzazione israeliana dei territori occupati sembra essere una mossa difensiva piuttosto che offensiva. Il documentario esplora anche i modi con cui i giornalisti americani, per motivi che vanno dalle intimidazioni alla mancanza di un'indagine approfondita, sono diventati complici nella realizzazione della campagna di pubbliche relazioni di Israele.
Al suo centro, il documentario pone degli interrogativi riguardo l'etica e il ruolo del giornalismo, e il rapporto tra media e politica.

Interviewees include Seth Ackerman, Mjr. Gli intervistati sono Seth Ackerman, Mjr. Stav Adivi, Rabbi Arik Ascherman, Hanan Ashrawi, Noam Chomsky, Robert Fisk, Neve Gordon, Toufic Haddad, Sam Husseini, Hussein Ibish, Robert Jensen, Rabbi Michael Lerner, Karen Pfeifer, Alisa Solomon, and Gila Svirsky. Adivi Stav, il rabbino Arik Ascherman, Hanan Ashrawi, Noam Chomsky, Robert Fisk, Neve Gordon, Toufic Haddad, Husseini Sam, Ibish Hussein, Robert Jensen, il rabbino Michael Lerner, Pfeifer Karen, Salomone Alisa, e Gila Svirsky.
Categoria:
Non profit e attivismo
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Artista: Peter Gabriel

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domenica 18 marzo 2012

UN GIOVANE EBREO AMERICANO MANIFESTA A SUO RISCHIO E PERICOLO....


UN SOLDATO ISRAELIANO E UN BAMBINO PALESTINESE.... SI AFFRONTANO.....



gli effetti del fosforo bianco






mercoledì 14 marzo 2012

MA DOVE STA LA PALESTINA????





Aveva l’aria di chi veramente se ne intendeva. Mostrava di sapere come vanno le cose, perchè non vanno e di chi è la colpa. Prendere l’espresso al bar è anche questo: vivere per una frazione di minuto gomito a gomito con ogni tipo di persone. L’altro giorno ho scontrato le mie orecchie con una frase pronunciata da una signora abbronzatissima, con chilometri di meches e una quintalata di anellame. Denti bianchi da far invidia e il suo bel cagnolino aggrappato alle unghie smaltate.
Ha detto (testuale): “Ma si può sapere una volta per tutte dove cavolo è ‘sta Palestina?”. Questa donna, a occhio e croce, fa parte di quella categoria di umani denominata (approssimativamente) classe media.

Un tempo lontano, aimè, molto lontano, questa particolare classe spiccava in virtù di qualità diverse e concomitanti, non solo di natura materiale ma anche intellettuale. Era gente che ricavava e spendeva non per rendita ma per lavoro. Non avendo rendite di posizione di nessun genere era spinta ad essere libera, sperimentare e di agire nella società. Era portata al rinnovamento, elettivamente avanguardia dei movimenti di pensiero politico e religioso.

Ecco, se la classe media si identifica non per un censo, ma per una forma mentis, uno stile di vita e di lavoro, un'etica di classe, oggi non c'è niente di più stupido che confinarla in uno scaglione di reddito. E oggi non c'è niente di più arbitrario che definirsi membro della classe media in base alla propria disponibilità di reddito o alla sua indisponibilità.

È per questo che in Italia non esiste una classe media, ma solo suoi brandelli. Ciò che con intenzionale mala fede è spesso confuso con classe media, è quella che Indro Montanelli chiamava "la plebe borghese". Mentre i professionisti si indignano perché oppressi dall'impoverimento dovuto alla liberalizzazione delle loro professioni e dall'evenienza di una meno agevole evasione fiscale, i loro colleghi in diverse parti del mondo (anche nel mondo arabo, per esempio) sfilavano per protestare contro un altro genere di impoverimento: contro la riduzione delle spese statali per la cultura. In altre parti del mondo, lontano da noi, ha manifestato la classe media, in Italia la plebe borghese.

Quello che mi chiedo, e vi chiedo amici miei, è: ma questo Paese, questo Stato e questo e i passati governi sanno farsene qualcosa di una classe media attiva e prospera, riconosciuta nella comunità per ciò che sa fare, vuole fare, vuole chiedere, sa pretendere?
O hanno casomai voglia di chiudere i conti e preferiscono vedersela con i più semplici, carnali, interessi della plebe borghese?...