martedì 20 novembre 2012

Perché Israele attacca di nuovo la Striscia di Gaza?














Scritto da Gaetano  Colonna Domenica
 18 Novembre 2012 22:17

 Guerra e verità di

Gaetano Colonna –

 Clarissa.



 Per chi si occupa di Medio Oriente, l'impressione  è che la nuova offensiva  israeliana contro Gaza non abbia come  scopo reale quello che le forze armate  ed il governo israeliano stanno dichiarando con enfasi e che i media occidentali  accettano con grande naturalezza.  Israele è infatti oggi assai meglio protetto  contro i missili di quanto lo sia mai stato  in precedenza: l'installazione del sistema anti-missile Iron Dome ha fornito allo Stato ebraico un ulteriore potenziamento  dei propri sistemi di difesa passiva.
 Anche per questo, il rischio effettivo costituito dal lancio dei razzi dalla Striscia di Gaza  non si è mai tradotto in un pericolo strategico per Israele, com'è dimostrato dal numero  delle vittime: 21 israeliani uccisi in totale negli ultimi undici anni, rispetto agli oltre 2.300Palestinesi uccisi nello stesso periodo.
 D'altra parte Israele, dalla fine dell'operazionePiombo Fuso del dicembre  di quattro anni fa, ha sempre esercitato con estrema durezza il suo controllo militare nell'area, intervenendo costantemente con sanguinosi  attacchi,più o meno mirati, contro gli uomini di Hamas e delle altre fazioni,  come avvenuto il 22 e 23 ottobre scorsi (7 vittime fra i palestinesi), il 10 settembre scorso (4 palestinesi uccisi) e il 5 agosto scorso 
 (1 palestinese ucciso).

Hamed Jabari stava trattando?  Ma c'è qualcosa che non convince anche nell'episodio che ha dato inizio all'offensiva, l'uccisione dell'uomo forte di Hamas a Gaza, quell'Hamed Jabari che i media di tutto il mondo si sono affrettati a presentare, sulla  scorta di quanto dichiaravano i portavoce delle forze armate israeliane,  il capo militare di Hamas.

 In realtà, una voce non sospetta, il giornale israeliano Haaretz, riportava lo  scorso  15 novembre le dichiarazioni di Gershon Baskin, un pacifista  israeliano che ha partecipato alle trattative per il rilascio del soldato Gilad Shalit: secondo Baskin,Jabari era al centro di contatti con Israele,  mediati dall'Egitto, tanto che avrebbe ricevuto, poche ore prima di essere ucciso, la bozza di un accordo di treguapermanente, «che  comprendeva i meccanismi per mantenere il cessate-il-fuoco anche  nel caso di una recrudescenza di ostilità fra Israele e le diverse fazioni  palestinesi nella Striscia di Gaza».

 Addirittura, secondo la dettagliata  ricostruzione che Baskin  ha fatto ad Haaretz della trattativa  in corso, Jabari sarebbe stato pronto a questo  accordo sulla base della considerazione  della crescente inutilità del lancio di razzi contro Israele.

[La ricostruzione di Baskin è ripresa anche sul  New York  Times. NDR Megachip]. 

 Che potesse esserci in corso una qualche forma di trattativa,  d'altra parte,  lo si potrebbe anche dedurre dalla visita, lo  scorso 23 ottobre, dell'emiro  del Qatar Hamad bin Khalifa, il primo capo di Stato di un paese arabo a venire a visitare la Striscia di Gaza ed il governo di Hamas, con  l'ovvio consenso dello Stato ebraico, dato che,  non possiamo dimenticarlo,  la Striscia di Gaza si trova dal punto di vista  internazionale tuttora sotto  occupazione israeliana,  nonostante il ritiro delle truppe occupanti avvenuto nel 2005:    ricorda infatti Gilles  Paris su Le Monde che.....
Israele «continua a controllare la stragrande  maggioranza delle  frontiere terrestri, la totalità  della linea costiera (con uno spazio minimo  lasciatoalla pesca autorizzata) e la totalità  dello spazio  aereo» della Striscia.
   Il fatto che Israele abbia permesso questo tutto sommato storico avvenimento,d'altra parte, fa pensare che l'emiro, sicuramente non sospetto di simpatie per  l'Iran, avesse per obiettivo anche quello di accrescere il peso politico delle  forze arabe anti-sciite a Gaza, in coerenza con quanto sta avvenendo in tutta  l'area intorno ad Israele, Egitto e Libano in primo luogo.
 Ma il clima generale mostrava altri sintomi interessanti, tra i quali giganteggia, per quanto trascuratissima dai media, la dichiarazione del 2 novembre scorso  di Abu Mazen, come si sa presidente dell'Autorità palestinese, che conteneva  una ancor più storica apertura sulla questione del "diritto al ritorno" dei palestinesi, l'affermazione che sarebbe tornato nella sua città natale, Safed, da turista: un'apertura davvero ampia nel momento in cui, lo stesso  giorno, Israele apriva invece le gare d'appalto per la costruzione di altri 1.200 alloggi negli insediamenti dei coloni israeliani a Gerusalemme est.  Israele deve impedire la pace in Medio Oriente.
Difficile credere quindi che la  preoccupazione israeliana sia rivolta alla  minaccia dei
razzi di Hamas. Come sempre, a nostro avviso, come già avvenuto nel dicembre 2008, lo scopo dello Stato ebraico è quello di evitare che si arrivi ad una definizione pacifica dei contenziosi che si vanno accumulando come non mai negli ultimi venti anni in Medio Oriente, per salvaguardare esclusivamente gli interessi strategici dello Stato ebraico, che oggi sono soprattutto due: evitare il completamento del  processo di pace di Oslo, che Israele considera superato dai fatti, soprattutto  in presenza di un fronte politico palestinese dilaniato dalla lotta fra Hamas e  Olp; chiudere i conti con la questione iraniana.
 Non a caso, quindi, Israele colpisce in Palestina subito dopo la rielezione di Obama, costringendo il presidente americano ad un immediato appoggio alla propria politica di "auto-difesa" che si traduce nella ripresa di violazioni gravissime del diritto internazionale,  dati gli effetti di questa nuova operazione di guerra sulla popolazione civile della Striscia di Gaza, già ridotta in condizioni inimmaginabili dal conflitto del 2008.
 Così facendo, si spazza via non solo qualsiasi possibilità di mediazione con Hamas,  ma anche di concedere un sia pur minimo spazio diplomatico all'Egitto di Muhammad  Morsi o ai Paesi arabi reazionari del Golfo.
La prospettiva dei due Stati, l'interruzione della politica degli insediamenti nella  Cisgiordania, la questione di Gerusalemme e quella, già ricordata, del "diritto  al ritorno" vengono una volta ancora travolte da una nuova operazione israeliana.

 Ma la questione dell'Iran, rimane quella centrale.

  L'Iran è in situazione estremamente difficile, per la perdita dell'ultimo alleato possibile, la Siria  di Assad, alla cui guerra civile  si collega anzi   il rischio di un coinvolgimento in una "libanizzazione" che si estenderebbe dalla costa mediterranea al  confine della Persia,  con uno stillicidio di  forze che non potrebbe recare alcun beneficio al regime degli ayatollah. L'Iran è in crisi interna, come dimostra il recente durissimo scambio di  lettere fra il presidente Mahmoud Ahmadinejad ed il capo del potere giudiziario Sadegh Larijani, una disputa in cui Ahmadinejad ha finito per attaccare apertamente la stessa guida suprema, Ali Khamenei (che  ha preso le parti di Larijani), rilevando,  non a torto, che mentre Ahmadinejad è stato "eletto dal popolo", Khamenei no -un attacco che evidenzia la diversa concezione politica di fondo delle due massime  autorità iraniane.

 L'Iran è poi in crisi dal punto di vista economico, poiché la sua moneta, il rial, ha perso  in un anno il 75% del suo valore, come hanno evidenziato  le preoccupate dichiarazioni  di molti esponenti religiosi ed economici  iraniani ai primi di ottobre che hanno accusato  l'Occidente di condurre  una vera e propria guerra economica contro il Paese. Kissinger, Obama e Pillar of Defense Sono le ragioni che possono spiegare il tentativo iraniano di aprire una trattativa diretta con gli Usa, di cui la stampa statunitense ha  dato notizie fin dallo scorso 20 ottobre.
Una prospettiva di cui si è da ultimo occupato Henry Kissinger sul Washington  Post del 16 novembre, in un articolo diretto al neo-eletto presidente Obama  nel quale definiva quella iraniana la "questione più urgente che il presidente  deve affrontare".  Kissinger conclude in maniera molto chiara: «Perché negoziare con un paese che ha  dimostrato una tale ostilità ed evasività?
Proprio perché la situazione è così tesa. La diplomazia può ottenere come risultato  un accordo accettabile. Oppure il suo fallimento mobiliterà il popolo americano ed  il mondo, rendendo chiare o le cause di una escalation della crisi fino al livello di una pressione militare, oppure quelle di una sostanziale acquiescenza al programma nucleare iraniano. Qualunque sia il risultato, esso esigerà la volontà di guardare fino in fondo alle sue
 implicazioni finali. Non ci possiamo permettere un altro disastro strategico». implicazioni finali. Non ci possiamo permettere un altro disastro strategico».
 Precisamente nelle parole di Kissinger risiede a nostro avviso la motivazione della  nuova iniziativa militare di Israele: chiudere il varco a qualsiasi trattativa per una sistemazione stabile del Medio Oriente, mantenere alta la tensione sul problema  iraniano e, forse,  creare le pre-condizioni per quella «escalation della crisi fino  al livello di una pressione militare» di cui parla l'ex-segretario di stato americano.


 Basta poco, in un nuovo clima di guerra come quello che Israele ha aperto in Palestina, perché si aprano possibilità di chiudere anche la partita iraniana: potrebbe essere il nuovo rapporto dell'AIEA, sul quale filtrano indiscrezioni che avvalorano le analisi israeliane di poche settimane perché l'Iran arrivi alla capacità di produrre  materiale fissile di uso militare; basta che un nuovo drone, come avvenuto qualche  settimana fa, sorvoli i cieli israeliani; basta un'intensificazione della tensione alconfine con il Libano, o con la Siria.


 Una cosa per noi è certa: non sono i razzi di Hamas, l'obiettivo di questa campagna.  Per questo, bisognerà prenderla molto sul serio, più di quanto non stiano facendo i media occidentali.  Fonte: http://www.clarissa.it/editoriale_n1855/Perche-Israele-attacca-di-nuovo-la-Striscia-di-Gaza.